Cos'è l'infarto

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    U.T.I.C.
 SALERNO
                                    

 


Il cuore














Infarto del miocardio

L’infarto del miocardio (che è il muscolo cardiaco) è di norma causato dall’occlusione improvvisa di un’arteria coronaria e la causa principale responsabile dell’occlusione coronaria è l’aterosclerosi (formazione all’interno delle coronarie di accumuli di colesterolo che portano alla formazione delle placche aterosclerotiche).

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Come ha origine

 

Da sola, però, la placca aterosclerotica non è sufficiente a determinare l’occlusione completa del vaso. Quest'ultima si verifica quando la placca si rompe o si infiamma e sulla sua superficie si forma improvvisamente un coagulo di sangue (trombo).

Più raramente può avvenire a seguito di uno spasmo coronarico (improvvisa contrazione della parete delle coronarie che blocca completamente il flusso sanguigno) o come conseguenza di malattie infiammatorie (aortiti, vasculiti sistemiche), traumatiche (dissezione aortica) o immunitarie (rigetto da trapianto cardiaco).

 aterosclerotica

 

 

 

 

 

 

 


Alcuni dati

 

Stando ai dati nazionali riferiti dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) la prevalenza d’infarto in una fascia d’età compresa fra i 35 e i 74 anni è per gli uomini dell’1,5% e per le donne dello 0,4%.

Tra questi, sono particolarmente significativi:

l’età (il rischio cresce con gli anni);
Il sesso (l’incidenza è maggiore tra gli uomini, ma dopo la menopausa il rischio si equipara);
la familiarità (la probabilità è maggiore se in famiglia ci sono casi di eventi cardiovascolari precoci, cioè a meno di 55 anni per gli uomini e a meno di 65 anni per le donne).

 

Come si manifesta

 

Alcuni attacchi cardiaci si manifestano in maniera improvvisa e intensa, non lasciando quindi alcun dubbio, nel soggetto colpito, di che cosa stia accadendo.
Molti altri, invece, cominciano lentamente in maniera subdola con lieve dolore o sensazione di disagio.

Infarti silenti

Questi sintomi non sono facilmente associabili a una malattia cardiaca ed è per questo che spesso tendono a essere ignorati o sottovalutati; chi ne viene colpito aspetta troppo tempo prima di chiedere aiuto. Si tratta dei cosiddetti infarti silenti o paucisintomatici (con pochi sintomi) che appunto non provocano dolore significativo e vengono scoperti solo se si effettua un elettrocardiogramma. Di solito si verificano più frequentemente negli anziani e nei diabetici.

Sintomi

È importante, quindi, imparare a riconoscere tutti i sintomi di pre-infarto:
dolore al petto o all’addome. Il dolore si avverte al centro del petto, ha una durata di pochi minuti e può essere intermittente. La sensazione che si avverte è di oppressione, pienezza o compressione al petto;

il dolore può estendersi anche al braccio, al dorso, alla mandibola, alla spalla e alla nuca;     

dolore



 

 

 

 





respiro corto;
sudorazione, nausea o svenimento.
Quando è in corso un infarto vero e proprio, molti pazienti hanno descritto il dolore al petto come il peggior dolore mai provato, accompagnato da uno stato di forte agitazione.

Altri sintomi sono:

astenia;
ipersudorazione;
nausea e vomito;
tremori;
febbre.

I sintomi difficilmente si presentano tutti insieme, alcuni scompaiono per poi ripresentarsi in un secondo momento e spesso sono ignorati o confusi con un’indigestione.

 

Importanza di un intervento tempestivo

 

Per la cura dell’infarto è cruciale la diagnosi immediata, in modo da consentire un intervento tempestivo.  Il 50% delle morti da infarto, infatti, avviene nelle prime due ore dopo la comparsa dei primi sintomi e spesso quando il paziente non è ancora giunto in ospedale.
Assistenza immediata: a chi rivolgersi. Chi pensa di essere stato colpito da infarto deve chiamare subito il 118
118



che dispone di unità attrezzate a gestire questi tipi di emergenze, ed è in grado di stabilizzare il paziente prima dell’arrivo in ospedale.


Come si conferma la diagnosi

 

Per effettuare la diagnosi ci si basa, oltre che sul quadro clinico del paziente, sull’elettrocardiogramma, che, in un infartuato, evidenzia delle tipiche alterazioni.

Esami effettuabili

ecocardiografia: (è una ecografia del cuore): se c’è un infarto in corso la zona di muscolo cardiaco coinvolta si contrae meno bene o non si contrae affatto;

analisi del sangue: confermano o escludono una diagnosi di infarto miocardico in base all’innalzamento dei valori di particolari enzimi.

Terapia farmacologica

La terapia farmacologica applicata agli infartuati prevede in una fase iniziale l’uso di morfina per calmare il dolore e di ossigeno per migliorare l’ossigenazione del sangue. La prima fase di terapia è infatti volta a ridurre il dolore e a prevenire un’ulteriore estensione della lesione cardiaca.
Si somministrano precocemente anche aspirina (per il suo effetto antiaggregante piastrinico e quindi con possibilità di favorire la dissoluzione del coagulo di sangue che occlude la coronaria) e nitroglicerina (dilata i vasi coronarici e abbassa i livelli pressori).

Altri tipi di intervento

Se la diagnosi di infarto è confermata l’obiettivo terapeutico principale è quello di riaprire prima possibile il vaso che si è chiuso garantendo il flusso di sangue adeguato e quindi limitando il danneggiamento del muscolo cardiaco.
Infatti, se l’occlusione si prolunga nel tempo, una quota variabile di muscolo va incontro a necrosi, muore e il danno che ne consegue diventa pertanto irreversibile.

Per impedire che ciò avvenga ci sono due possibilità: somministrare dei farmaci che, rendendo molto fluido il sangue, sono in grado di sciogliere il coagulo che ostruisce la coronaria (trombolitici), oppure ricorrere precocemente a dei dispositivi meccanici in grado di asportare il coagulo (angioplastica coronarica cosiddetta ‘‘primaria’’).

 

Angioplastica coronarica

 

Con l’aiuto di una sonda, si introduce attraverso l’arteria femorale oppure attraverso l’arteriptcaa radiale un piccolo tubicino che arriva fino al cuore in prossimità delle coronarie. Attraverso il tubicino si incannulano le coronarie e si fa passare attraverso la stenosi o l’occlusione una sottilissima guida metallica e su questa un palloncino che una volta giunto nel vaso stenotico o occluso viene gonfiato determinando l’apertura del
vaso.
 
 


Chirurgia

 

Se l’azione dei farmaci non è sufficiente da sola a ripristinare il corretto flusso sanguigno e, al termine dell’esame coronarografico, l’angioplastica non può essere eseguita (perché ci sono diverse stenosi su diversi vasi), può essere necessario intervenire chirurgicamente.
Si effettua un intervento di bypass aorto-coronarico, con l’obiettivo di aumentare il flusso di sangue attraverso un’arteria coronaria.
L’intervento consiste in un prelievo di una parte di un vaso sanguigno sano da utilizzare per creare un nuovo percorso per il flusso ematico del cuore.
Successivamente il chirurgo innesta sull’aorta un’estremità del vaso prelevato e l’altra estremità la salda all’arteria coronaria malata. Il nuovo percorso sanguigno risultante (bypass) permette al sangue di arrivare al cuore aggirando la porzione di arteria ostruita. Abitualmente questo intervento è indicato quando sono interessati almeno due vasi coronarici principali.

 

Convalescenza post-infarto

 

Nel periodo immediatamente successivo all’infarto, il paziente può riprendere pian piano una vita normale seguendo però attentamente le raccomandazioni suggerite anche per la prevenzione primaria:

abbassare la pressione;

eliminare il fumo;

eliminare il sovrappeso e quindi svolgere un’adeguata attività fisica;

tenere sotto controllo il diabete;

ridurre i grassi nel sangue
(colesterolo e trigliceridi).

I soggetti che hanno avuto un infarto dovranno inoltre assumere per il resto della vita alcuni farmaci che hanno il compito di prevenire un nuovo infarto, tra cui l’acido acetilsalicilico (che in tutti gli studi clinici si è dimostrato molto efficace nel ridurre il rischio di un nuovo infarto e la mortalità) e le statine che riducono i livelli del colesterolo.

 

L’esercizio fisico è importante per il cuore?

Fare esercizio fisico è l’unico modo che abbiamo per contrastare il decadimento fisiologico a cui è sottoposto naturalmente il nostro organismo.
Il cuore di una persona che si allena è un cuore “giovane”: pressione arteriosa e frequenza cardiaca sono molto più basse rispetto a un soggetto sedentario.
Un “cuore in movimento” lavora in modo molto più efficiente e con un minor dispendio di energie.
corsa
Il movimento migliore da fare è quello aerobico di lunga durata.
Aerobici sono tutti quegli sport in cui è implicato il cuore e il suo apparato (corsa, marcia, ciclismo, nuoto, sci di fondo) e che sono anche definiti di resistenza (l’ossigeno è il necessario carburante energetico).
Le cosiddette attività di potenza (sollevamento pesi, canottaggio), invece, possono costituire una fonte di pericolo per il cuore, soprattutto se svolte in maniera non corretta e con una preparazione inadeguata.

 

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